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Quando il mestiere dell’architetto aiuta il cambiamento: intervista a Marco Visconti

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Non capita tutti i giorni di avere l’occasione di intervistare l’architetto Marco Visconti nel suo studio a Torino e confrontarsi su temi estremamente stimolanti ed ispirati. Sensibilità ambientale, flessibilità e identità di luogo, sono questi i valori trainanti dell’architettura di Marco Visconti, fondatore dello Studio professionale MVa, dedicato alla sostenibilità in architettura per l’industria, educazione e cultura, e autore di progetti come lo Stabilimento SATA Fiat di Melfi e la Torre Zucchetti di Lodi.

“Riguardo all’argomento flessibilità: trovo interessante il pensiero legato a flessibilità e ambiente, quindi proteggere le strutture architettoniche dai cambi climatici repentini, e la domanda che volevo farle è: le tipologie costruttive in legno o comunque la metodica dell’uso del legno può essere interessante? Ad esempio anni fa, nel caso delle baite in legno, si faceva un secondo rivestimento protettivo che si sacrificava in virtù di quello interno e quindi si cambiava periodicamente l’esterno per mantenere salva la parte interna.” 

“Io credo che senz’altro il legno è un materiale molto interessante. Sono però convinto che convenga usarlo con una certa saggezza: in relazione a dove si pensa all’edificio, a dove verrà costruito. Se parliamo di edifici di montagna è molto bene avere il legno esposto, che con l’andare degli anni prende il suo colore, prende la sua naturalità, e quindi è giusto così. È giusto esporre probabilmente in quel caso degli elementi relativamente pesanti, perché il legno è in sé un materiale abbastanza pesante, come presenza materica. In altri casi invece se parliamo di esterno dell’edificio, userei l’acciaio, che ci permette di avere elementi protettivi più leggeri e lì secondo me è meglio. L’acciaio come materiale più rigido e quindi dal punto di vista dell’impronta volumetrica molto meno evidente potrebbe essere usato per tenere invece degli elementi di legno che a quel punto diventano elementi fortemente tecnologici anche se di legno. In condizioni urbane, nei centri storici, lo userei invece protetto, sostenuto dall’acciaio e a quel punto forse lo vernicerei. Altro discorso invece il legno all’interno, per le pavimentazioni è una grandissima soluzione, soprattutto quando si parla di legno che abbia un certo spessore perché può essere recuperato, lamato. È forse il primo passo della sostenibilità in edifici, perché io vado sempre predicando il fatto che la sostenibilità si fa con la flessibilità: il primo passo è quello.

Vuoi fare un edificio sostenibile? Devi pensaci subito al futuro edificio: cosa potrà avvenire fra quindici anni, tra vent’anni, trent’anni? Se sei veramente sostenibile devi fare in modo che i cambiamenti si possano fare con poco, quindi un pavimento in legno secondo me va bene in qualsiasi uso, è molto versatile e poi ripeto lo si può rendere nuovo in un attimo, cosa c’è di meglio?” “La nostra vita si divide anche tra dimensione online e offline. Spesso si abbattono le barriere architettoniche, si aprono spazi, si mescolano culture e stili. In questo scenario odierno dove va cercato il senso di appartenenza, di dialogo tra uomo e ambiente circostante? Come immagina le abitazioni e gli spazi del futuro?” “Il rapporto fra la natura e la persona è tanto più forte quanto minore è il baluardo che si mette proprio fra la persona e la natura. Una persona nella natura è veramente a contatto. Sono parole banali ma è la realtà. Un edificio deve riuscire a mantenere così forti il contatto fra l’interno e l’esterno in modo  che dia il senso di appartenenza di chi sta dentro rispetto a cosa c’è fuori. Qui, un po per caso siamo proprio in un ambiente di questo genere. Guardi queste vetrate: trovo molto importante che già negli anni 70 abbiano voluto a pian terreno di un edificio residenziale, uno dei più belli in città (Torino) avere questi spazi per il lavoro. Qui quindi l’architetto è stato illuminato.

Questi spazi per il lavoro direttamente collegati al giardino… questo è un esempio. Con tutto quello che oggi abbiamo a disposizione fra vetro, alluminio, isolanti e protezioni solari riusciamo a mantenere aperto il collegamento fra l’esterno e l’interno, quindi quello è il rapporto con la natura e soprattutto attraverso la luce come dice Renzo Piano e non solo lui. Questo rapporto deve essere comunque un rapporto calibrato e non esasperato, perché come recita chi dice che per fare una buona architettura ancora oggi si deve passare dal concetto di edificio passivo, ed è vero, quindi semplicemente mettere i serramenti dove li puoi mettere e non metterli quando sono troppo esposti, perché è vero, abbiamo un buon isolamento ma comunque entra tanta energia e quindi bisogna fare attenzione. Il concetto passivo è un po’ il tramite del far bene le cose. Trovo che l’architetto debba rendersi conto dell’opportunità nel fare il proprio mestiere, nel fare le cose che servono al momento giusto. Oggi è chiaro, e lo sarà sempre di più in futuro che il fatto ambientale è la cosa fondamentale. Però anche il fatto ambientale deve essere interpretato nel modo giusto, nel senso: si parlava di edificio passivo, quindi il rapporto fra interno ed esterno deve essere calibrato. Riuscire a fare qualcosa per l’ambiente vuole anche dire riuscire a fare un ufficio opportuno, non per forza aperto. Aperto quando necessario, protetto soprattutto, e quindi il rapporto fra l’uomo e la natura passa attraverso questo diagramma di tipo quasi teorico / filosofico, cioè tu fai le cose che sono giuste in quel momento, pensando al futuro. Per riassumere: i vari protocolli di sostenibilità funzionano ma soprattutto funziona la testa del progettista che riesce a interpretare la flessibilità, il futuro, e l’appartenenza al luogo in un modo coerente.” “Riguardo all’uomo: come vede rapportare l’essere umano quando entra in contatto con diversi materiali naturali come il legno, specificamente all’interno. Ci siamo resi conto negli anni, che il legno porta con sé tantissime informazioni. Lo collego un po’ a quel concetto di “pesantezza” che aveva espresso prima. Il legno non è una questione solo di spessore, ovviamente una scala portante in legno ha uno spessore importante, una struttura d’acciaio con un rivestimento in legno mantiene un rapporto diverso pur senza caricarla eccessivamente. Proprio perché entriamo in contatto veramente fisico con un materiale che ha raccolto tante informazioni, che poi restituisce nell’uso giornaliero, come vede questo rapporto e come si potrebbe anche espandere o approfondire? Quali idee per riuscire a far crescere questo rapporto tra la materia prima naturale e la persona?” “Il legno da sempre è stato usato per costruire anche oggetti per la persona. Spesso ce ne dimentichiamo, ma certe cose che oggi usiamo sono in plastica, sono in acciaio, sono in alluminio e potrebbero benissimo essere in legno. Trasformare quanto c’è di tecnologico e energeticamente molto goloso in qualcosa che non lo è, è senz’altro un’opera straordinaria ma è anche straordinario oltretutto mettere in contatto la persona con un materiale così naturale. Il legno è una struttura naturale, è una struttura viva, e quindi è quasi come pensare che è una parte di se stessi, la vedi lì. Che differenza c’è alla fine fra una pianta che ha una struttura esposta e un essere vivente che invece ha la struttura all’interno ricoperta di organi, di pelle?

Non c’è tanta differenza secondo me, filosoficamente. Quindi avere lì davanti un qualcosa che sai che che ha avuto una vita e continua ad averla malgrado non viva più, vicino a te è una cosa che ti collega al mondo. Voglio dire che se impieghiamo la natura nel modo migliore ce la teniamo vicina, quindi tenercela vicina vuol dire senz’altro avere finiture che ci portano a pensare in ogni momento alla natura. Il legno è proprio così perché dicono che il legno scalda: è vero, il legno scalda, ma in realtà il legno scalda la mente. Perché ti fa sentire esattamente la natura. La pietra molto meno, anche se questa è senz’altro la natura cristallina delle cose. La pietra cristallina non contiene in sé la fluidità e la dinamicità di un pezzo di legno. Il legno è assolutamente dinamico perché fatto di parte dinamica. Al suo interno scorrevano liquidi. Il legno scalda perché secondo me ti mette di nuovo in contatto con qualcosa che era vivo e continua a essere vivo davanti ai tuoi occhi, perché inoltre si muove: si muove con l’umidità, cambia colore, ogni tanto contiene anche degli animali al proprio interno, che male non fa.” “Per quanto affascinante perché naturale, anche la pietra è ricchissima, ma il legno ha forse qualche marcia in più…” “È molto caldo, è un materiale vivo: si muove con la temperatura, si muove con l’umidità, ti aiuta nell’acustica, si fa vedere come materiale vivo, come materia viva e tutti questi fattori collaborano a farlo sentire un elemento vicino a te, caldo. Invece tornando a noi, ai luoghi, io trovo ancora adesso che certi luoghi industriali qui a Torino siano luoghi difficili da vivere e fra questi il Lingotto per esempio, che ha avuto una storia così dura, magari triste anche negli ultimi anni in cui è stato usato come fabbrica, che ho sempre vissuto come qualcosa che non è lì per accoglierti ma è lì per rappresentare un’epoca in cui si, da un lato uscivano prodotti utili per le persone, non si può negarlo, ma dall’altro una vita veramente dura di fatto.

La disdetta vuole che adesso è vuoto. Dal punto di vista del dell’uso fieristico non esiste quasi più. La vera disdetta è che non sembra neanche essere apprezzato il fatto che la ristrutturazione è stata fatta, è stata pensata per accogliere gli eventi fieristici nel modo migliore, dai parcheggi ai servizi e tutti i comfort, e invece (ad esempio) la “Fiera del gusto” la si fa nel parco del Valentino. Secondo me è un errore, perché il parco del Valentino non è stato pensato per riempirlo di gente in questo modo.

Il parco del Valentino e bello con poche persone, e non migliaia. Se voi godere di un parco devi godere di un parco nella sua naturalità, nei prati, negli alberi, nella sua bellezza, perché devi riempirlo di bancarelle? Questo è un errore, e forse anche dovuto a una certa negatività, volendo andare oltre, che c’era in quel sito industriale, ma forse mi sto spingendo molto avanti.” “L’aspetto di cui sento parlare più frequentemente ultimamente, tolti quei tabù e timori di credere che se non è scientifico non se ne deve parlare, ma se qualcosa lo “sentiamo”? Vuol dire che esiste e quindi non tutto è spiegabile con una sola formula. Potrebbe essere che vada ricostruita un’informazione all’interno del Lingotto?” “Ma sa cosa? Mi vorrei ricollegare brevemente a questa teoria della crescita infinita che è sbagliata. Non stiamo crescendo in modo infinito, siamo delle persone, siamo degli esseri, degli esseri finiti cioè la nostra vita finirà. Anche questo pensiero della crescita infinita ovviamente va verso il lato economico, il lato sociale. L’economia di oggi, economia che vorrebbe crescere in modo infinito, dice che non abbiamo bisogno della politica perché noi dobbiamo poter fare tutto quello che vogliamo e quindi c’è il discorso della globalizzazione, lo sfruttamento, si vede benissimo come in Cina lo sfruttamento che è partito dal sud si sta trasferendo verso nord. Man mano non è più conveniente per loro il sud perché a nord si spende di meno.

È quasi un cursore che attraversa il mondo per generare prima ricchezza e poi povertà. È così, è così perché le fabbriche del sud della Cina (prendiamo l’esempio della Cina ma in India è uguale credo), si insediavano e poi quando le persone iniziavano a guadagnare un po’ di più e avevano un po’ più pretese di salario, le fabbriche si spostavano altrove per via di minor pretese di salario, e le persone che avevano il salario lì non l’hanno più e tornano ad essere un pochino più povere. Allora cosa fanno? Vanno a lavorare più sopra, cioè veramente una specie di cursore, lo immagino, un cursore della cosiddetta ricchezza ma alla fine il cursore della ricchezza lavora sulla povertà del resto che è attorno. È questo il meccanismo della crescita infinita, perché l’economia può permettersi tutto, secondo certi economisti che sanno benissimo di sbagliare.” “Siamo più di 7 miliardi di persone…” “Certo, e cosa succederà quando fra 30 anni saremo il doppio? Come potremo soddisfare le esigenze e le volontà di tutti per riuscire ad avere le cose che avevano i nostri padri per esempio, ma già la nostra generazione non ci riesce, mentre la generazione dei nostri padri era più fortunata perché loro hanno fatto dei passi avanti rispetto ai loro nonni, (parlo della mia generazione).

E cosa succederà quando la popolazione sarà dieci, venti volte questa? Come riusciremo a soddisfare le esigenze di nuovo di chi è eternamente connesso con tutti, consapevole di come si vive a New York e sa di morire in Africa?” “Penso a come sta cambiando la città di Milano, nella quale lavoro da quasi 30 anni. Anni fa dicevano spesso che questa città stava peggiorando, era sempre più sporca, eccetera. Dopo l’Expo è aumentato il turismo, è aumentata la percezione di una città attiva, sempre più bella grazie ad interventi urbanistici importanti e c’è ancora potenzialità per crescere. In ambito architettonico troviamo quasi un cantiere di ristrutturazione in ogni palazzo. Può essere che non sia necessariamente un una curva sempre a salire? Può essere che ad un certo punto si stabilizzi da sé?” “Si, certo. Se vedi che intorno a te c’è gente che lavora e che è contenta del proprio lavoro e di quanto guadagna, man mano si genera quest’idea che ti senti di vivere in un posto dove ti piace stare.” “C’è un’energia diversa, salvo quartieri ancora penalizzati. Possiamo sperare che, poiché i luoghi sono fatti anche da noi stessi, questa visione si espanda anche alle altre città?”

“Io credo che oggi una città grande, a questo punto una metropoli italiana abbia una sua vocazione, nel senso che a Milano sappiamo qual è la vocazione, oltre a quella industriale c’è il design, la moda, che crea un indotto, crea una cultura che fa molto bene alla città. Chi si interessa di moda o di design si interessa anche di altro e quindi questa cosa fa bene dal punto di vista culturale alla crescita della città. Torino non voglio dire che dal punto di vista culturale sia un gran che indietro, perché non è così, perché ci sono ancora le specializzazioni e le maestranze bravissime nel campo della meccanica, nel campo del terziario. Anche il politecnico di Torino continua a dare, ma Torino ha subito gravi danni negli ultimi anni dal punto di vista economico perché le aziende sono andate via. Malgrado questo, l’inquinamento è ancora più alto rispetto a Milano e non mi spiego perché: è una delle città più inquinate d’Italia, non lo dicono troppo ma è così. Quindi cosa succede: è una città che potrebbe ripartire in un attimo perché vivono ancora qua le persone che tirando cinghia riescono a mantenere viva una professionalità, una specializzazione. Quanti di noi vanno a Milano a lavorare e comunque non hanno abbandonato l’idea di rimettere su qualcosa qua, e ci sono delle realtà (se vogliamo anche piccoline rispetto a cosa è avvenuto in passato) che lavorano benissimo, mi riferisco per esempio ad una cosa che mi è capitata di recente: abbiamo avuto l’incarico per fare una fabbrica a Dubai (quella che vede lì nel progetto) di auto che sono tipo Lamborghini, ma fatte con telaio in carbonio e motori specialissimi. Costano 2 milioni di Euro l’una, supertecnologiche. Noi siamo famosi nel campo dell’industria qua in Italia e sono venuti a  a chiederci questo progetto. È un bel progetto, dopo un attimo mi dicono: “è un caso fortunato che lei abbia l’ufficio a Torino, perché facciamo tutto a Torino”, alcuni prototipi li stanno facendo a Rivoli alla Magna.

Ora se uno va a Rivoli, questi vecchi stabilimenti che sembrava fossero abbandonati, li hanno rimessi a posto e stanno facendo i prototipi di queste macchine, la prima produzione di serie. Non solo questi signori hanno anche la commessa per fare le auto elettriche della Expo di Dubai: oggi a Torino ci sono i prototipi di queste gigantesche uova che si aprono con delle porte così che sembrano delle ali d’aereo, bellissime, bellissime. Perché sono venuti a Torino? È ovvio, perché hanno trovato tessuto buono. Poi una volta fatta la fabbrica si trasferiranno molti torinesi là. Sia dal punto di vista progettuale che dal punto di vista del costruire. È la cultura. È la cultura del lavoro che c’è. C’è ancora, la sentiamo, quindi questo è il lato positivo.”


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